Utilizzare uno smartphone per i consumatori di tutte le età è oggi un'esigenza irrinunciabile: non solo si telefona e si inviano sms, ma sempre più spesso ci si affida al traffico dati, capace di metterci in mano - è il caso di dirlo! - un mondo interno, a partire dai servizi di WeChat e di altri nel campo della messaggistica istantanea, fino all'uso di social network e persino all'acquisto online.
Si tratta di un bisogno che i gestori di telefonia cellulare non fanno altro che alimentare, proponendo abbonamenti convenienti con smartphone inclusi capaci di connetterci con un mondo che quindi è sempre più vicino. Ma l'utilizzo di questi cellulari intelligenti è da un po' di tempo nell'occhio del ciclone "equo compenso", o meglio, lo sono i protagonisti della loro filiera produttiva. Cerchiamo di capire su cosa si incentra la polemica.
L'equo compenso, secondo la SIAE, una dei protagonisti della polemica, "non è una tassa bensì un compenso riconosciuto a chi crea opere di ingegno ed è definita per legge, una legge dello Stato che da 13 mesi non è applicata, in quanto non è ancora definito l'adeguamento previsto ogni tre anni". Questo è quello che sostiene Gaetano Blandini, direttore generale della Società italiana autori e editori.
Si tratta di un compenso che pagano consumatori e imprese e che, secondo quanto continua a dire Blandini, in Italia corrisponde a una cifra (0,90 centesimi di euro) è la più bassa in Europa (in Francia 8 euro e Germania addirittura 36 euro). Un prezzo che è irrisorio e che andrebbe aumentato secondo la SIAE.
Questo perché consentirebbe agli oltre 250mila gli iscritti alle associazioni di categoria in Italia di ricevere un'ulteriore tutela per il loro lavoro, andando a gravare non su consumatori, ma su chi produce di fatto gli smartphone, in un momento florido per il settore (in sei anni, è cresciuto del +900%).
Sostiene ancora Blandini, infatti, che bisognerebbe, "più che demonizzare gli autori e tutti coloro che lavorano nel campo della creatività e che danno a loro volta lavoro ad altri, ricordare che le multinazionali tecnologiche che producono dagli smartphone ai computer fabbricano i loro prodotti fuori dall'Italia e non pagano le tasse nel nostro Paese".
Quanto sia giusta la questione dell'equo compenso a carico dei produttori non sappiamo dirlo. Così come per quei prodotti tecnologici non usati per piacere personale ma per necessità lavorative, per cui la SIAE propone la procedura di rimborso, una strada che comunque universalmente è ritenuta piuttosto ardua e faticosa da percorrere.
Di certo si sono verificati rallentamenti nello stabilire se si tratti di un sistema legittimo, una decisione che spetta al Consiglio di Stato e una discussione presente nel decreto sui rincari che è ferma a causa delle indecisioni del Tar del Lazio.
Sulla questione, infine, sono ancora in sospeso due sentenze della Corte di Giustizia dell'UE, che non riescono a stabilire se all'interno dell'equo compenso vada anche calcolata la possibilità di copie pirata.