Prima di concedere un prestito un istituto di credito cerca di capire se il cliente è affidabile. Per questo chiede alcune garanzie come busta paga, immobili o garanti. Ma quello che sta accadendo in questi giorni in America sfiora davvero il ridicolo. Sfruttando alcune lacune della legge sulla privacy, alcuni istituti entrano nei profili Facebook dei propri potenziali clienti per capire se sono persone affidabili.
Hanno ammesso di farlo due società famose come LendUp e Lenddo, le quali hanno istituito un nuovo parametro per stabilire l'affidabilità di una persona: il numero di amici sul social network. La ratio seguita da questa regola è: hai tanti amici, quindi sei affidabile. Ne hai pochi? Se nessuno si fida di te, perché dovremmo farlo noi?
La legge è dalla loro parte. Sfruttando quella clausola che tutti accettiamo quando ci iscriviamo ai social network che prevede la cessione dei diritti delle proprie informazioni a società terze, le due finanziarie hanno agito con le spalle coperte dalla legge. Anche se si può contestare il principio alla base della scelta (ad esempio se uno non è iscritto a Facebook vuol dire che è completamente inaffidabile?), almeno dal punto di vista legale questa strategia è ineccepibile.
Ma non finisce qui. Non basta soltanto sapere se un cliente ha tanti amici su Facebook o follower su Twitter, ma l'algoritmo sviluppato dalle società stabilisce anche il numero di interazioni che quindi stanno a significare la partecipazione alla vita sociale di queste persone. Ma ancora, Lenddo ha introdotto un ulteriore paletto, ovvero analizza addirittura i profili degli amici del potenziale cliente perché, se vi trova dei cattivi pagatori, ne deduce che anche il proprietario del profilo possa esserlo, ed anche i curriculum su Linkedin per capire se ci sono persone recentemente licenziate. Insomma, questione di cattive compagnie.