La crisi economica sta falcidiando le imprese italiane: ogni giorno falliscono 35 attività. Una media di tre chiusure ogni due ore, secondo il rapporto di Unioncamere. I motivi? Calo dei consumi, diminuzione delle esportazioni, costi del lavoro troppo alti, difficoltà nel riscuotere i pagamenti dai clienti e nell'ottenere prestiti o finanziamenti statali.
I dati sono impietosi e preoccupanti, specialmente se uniti ai numeri sulla disoccupazione recentemente calcolati dall'Istat. Nei primi cinque mesi del 2013 sono scomparse 5.334 imprese, 284 in più rispetto al 2012, facendo registrare un trend di +5,6%.
Sempre secondo quanto emerso dall'indagine di Unioncamere, un altro dato estremamente negativo sarebbe quello relativo alla crescita delle domande di concordato preventivo che, rispetto allo scorso anno sono aumentate del 68% (904 richieste contro le 539 del 2012). Ricordiamo che il concordato è una procedura attraverso la quale l'imprenditore, per evitare il fallimento, ricerca un accordo con i suoi creditori.
Ma perché le aziende chiudono? Tante le cause che portano al fallimento di un'impresa, ma proviamo a stilare una classifica, secondo anche i pareri degli stessi imprenditori:
- costo del lavoro: è forse la motivazione più importante che blocca gli investimenti di sviluppo di un'impresa
- calo dei consumi: una delle conseguenze più gravi della crisi economica
- difficoltà nel ricevere prestiti da parte degli istituti di credito: troppo impegnative le garanzie richieste, troppo alti gli interessi
- lentezza burocratica che blocca i finanziamenti statali
- problemi e ritardi nei pagamenti dei clienti
Dove si sente la crisi
I settori più in crisi sono: il commercio (con 1.203 chiusure), l'edilizia (1.138) e il manufatturiero (1.131 fallimenti). Volendo invece immaginare una mappa geografica della crisi imprenditoriale, i grossi numeri sono al nord con la Lombardia in testa (1.211 chiusure) dove Milano e Provincia detengono il primato negativo. A seguire le città di Roma, Napoli, Torino e Brescia.