Il settore dei mutui insieme all'economia tutta del nostro paese ha vissuto un 2012 nero e caratterizzato da un mercato quasi dimezzato che si è ripercosso, negativamente ed ovviamente, anche sull'immobiliare e sull'edilizia, già in crisi da diversi anni; attualmente, dopo che il presidente Mario Draghi nell'ultimo direttorio Bce ha ulteriormente tagliato il costo del denaro portandolo allo 0,50% minimo storico dall'inizio della storia dell'euro, le condizioni economiche a cui è possibile trovare finanziamenti per l'acquisto di abitazioni sono per il momento rimaste invariate.
Se infatti è vero che l'andamento degli euribor, indici a cui si agganciano la maggior parte dei mutui variabili, è direttamente collegato anche al tasso di rifinanziamento principale (Bce), è anche vero che, considerati gli attuali livelli degli stessi ancora oggi di molto al di sotto dello 0,50% di cui sopra, era prevedibile che non vi fossero ulteriori contrazioni.
In realtà i veri problemi del credito ipotecario non risiedono nel livello dei tassi d'interesse, se pur più elevati della media europea, ma nelle reali possibilità di accesso al finanziamento; siamo infatti ancora in presenza di una situazione che vede molto difficile l'accensione di un mutuo anche in presenza di adeguate garanzie, se non per percentuali (loan to value) difficilmente al di sopra del 55-60%. Questo aspetto di fatto taglia fuori dalla potenziale platea di mutuatari tutti quei soggetti, e sono la maggior parte, che non dispongono di quell'acconto resosi indispensabile per perfezionare la compravendita.
Intanto però c'è un'aspetto, all'inizio della crisi imputato come maggiore causa delle problematiche pertinenti ai mutui e non solo, che sembra, dopo l'insediamento del nuovo governo, essere migliorato, si tratta dello spread Btp Bund; da diversi giorni ormai siamo sotto la soglia psicologica dei 300 punti base (oggi ha aperto a quota 257) e questo si dovrebbe, in teoria, ripercuotere positivimente sugli interessi al dettaglio e sul rischio che le banche assumono prestando denaro.
Infatti ad un minore spread corrispondono, o dovrebbero corrispondere, minori difficoltà per gli istituti nelle loro operazioni di raccolta del denaro, in parole povere le banche pagano di meno il denaro che si fanno prestare e possono, sempre in teoria, prestarlo a loro volta a condizioni migliori per i consumatori. Comunque sia anche se la febbre da spread è scesa siamo ancora ben lontani da quella media del 2010 (113 punti base) nell'ambito della quale le commissioni applicate ai mutui (anch'esse denominate spread) erano nell'ordine dell'1% contro, nella migliore delle ipotesi, il 2,80% di oggi.