La crisi del gas che aveva colpito l'Italia nel 2005 in seguito al braccio di ferro russo-ucraino (che aveva azzerato per giorni le forniture di gas mettendo in ginocchio lo Stivale e l'Europa) è ancora presente, ma sotto controllo.
Ora, però, il Belpaese potrebbe ricadere nel panico, e l'Eni è già in stato di allarme. Le forniture libiche, pari a 9 miliardi di metri cubi di metano (12% del nostro fabbisogno), che giungono in Italia attraverso i 520 chilometri del gasdotto "Greenstream", sono sospese da fine febbraio per motivi di sicurezza. "Sul mercato c'è abbondante disponibilità di materia prima": alcuni mesi fa erano state queste le rassicuranti dichiarazioni che rimbalzavano dall'Eni al commissario europeo all'Energia Oettinger. Ma a quel tempo la crisi aveva rallentato i consumi di energia e la primavera avrebbe fatto il resto.
Ora lo scenario è cambiato: tra poco arriverà l'inverno e le forniture di gas dall'Algeria attraverso il gasdotto "Transmed" potrebbero essere a rischio. A turbare le alte sfere dell'Eni sono stati i due attentati che lo scorso 19 luglio hanno colpito le condotte gestite da Sergaz, nella regione di Zaghouan (Tunisia centrale), e ora si temono ulteriori sabotaggi sulle condotte che, partendo dall'Algeria e attraversando la Tunisia, trasportano in Italia un terzo e più del gas necessario.
"Affrontare l'inverno con una delle fonti tradizionali ferma, devo dire la verità, non mi piace per niente", ha dichiarato Paolo Scaroni, l'amministratore delegato dell'Eni. Scaroni ha confermato l'intenzione di voler privilegiare "la ripartenza del gas perché, mentre non esistono problemi di sicurezza sull'approvvigionamento di petrolio, il gas libico pesa per il 10-12% dei nostri consumi". Il capo dell'Eni conferma "che possiamo vivere senza le forniture di gas della Libia. Però le altre fonti non ci danno totale tranquillità".
La situazione più difficile si incontra nella stazione di compressione gas di Mellitah, il maxi-terminal da dove parte il Greenstream, che pompa gas verso l'Italia al ritmo di 1200 metri cubi l'ora e le cui condotte si immergono nel Mediterraneo e arrivano sino a Gela. Mellitah, ha spiegato Scaroni, "è un grandissimo impianto di compressione e per farlo funzionare in modo adeguato dobbiamo mandarci degli espatriati". Di qui il problema della sicurezza. Se si riuscisse a superarlo in tempi brevi, nel giro di 2-3 settimane la maxi condotta potrebbe essere riaperta e l'inverno italiano potrebbe essere meno a rischio.
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