Ha del clamoroso la protesta di nove grandi aziende europee di produzione di energia contro le politiche di riduzione di Co2 e di incentivi alle rinnovabili promossa dall'Ue negli ultimi anni. Secondo queste grandi lobby, i sussidi all'energia rinnovabile costerebbero in bolletta oltre 30 miliardi l'anno, circa il 18% del totale dei servizi energetici.
Colossi nel settore dell'energia del calibro di di Eni, Gdf Suez, Enel, E-On, GasNatural Fenosa, GasTerra, Iberdrola, Rwe e Vattenfall hanno infatti inviato a Bruxelles un documento firmato in cui si chiede in sostanza una revisione delle politiche di incentivazione sulle rinnovabili che costano troppo e non rendono quanto sperato. "Basta con i sussidi alle rinnovabili" è il messaggio, gli incentivi, ad esempio sul fotovoltaico, sono troppo onerosi e non hanno contribuito in modo efficace a ridurre l'impatto ambientale della produzione di energia.
Se si vuole rimanere competitivi, dicono quelli delle lobby, e garantire bollette dell'energia più leggere è necessario tagliare sugli incentivi alle rinnovabili e puntare su nuove risorse come lo shale gas, che sta aprendo nuovi orizzonti negli Stati Uniti.
Ovviamente queste grandi aziende dell'energia sanno fare i conti e, da quando l'Ue ha iniziato la politica di incentivazione delle rinnovabili, hanno visto calare i propri introiti e sono state costrette a ridurre gli investimenti e addirittura a chiudere le centrali in perdita. Lo shale gas, gas metano estratto da rocce d'argilla, sembra la fonte di energia del futuro, ma alle lobby non interessa che ci siano diverse problematiche legate alla pericolosità dei giacimenti. Secondo un recente studio lo shale gas provocherebbe addirittura scosse di terremoto.