Un sistema di intercettazioni sistematiche tanto esteso poteva essere condotto solo da intelligence governative americane, CIA o FBI, o entrambe. Il mezzo era internet e le banche dati di social network e siti web. L'immancabile "talpa" ha portato alla luce quanto si sospettava da tempo, facendo scoppiare uno scandalo, cosiddetto "datagate", che ha indignato il Paese.
Milioni di persone, in patria e nel mondo, sono state spiate. E' facile immaginare innumerevoli dossier recanti informazioni di ogni tipo, commerciali, politiche, sessuali, economiche riferite ai soggetti schedati. L'amministrazione ha giustificato il suo operato con esigenze connesse alla sicurezza nazionale e alla lotta contro il terrorismo.
Gli americani però non sono teneri verso chi eccede dai propri poteri e dalle norme di legge e lo scandalo ha minato la credibilità dello stesso Presidente. Sotto accusa sono finiti anche i big di Silicon Valley, Microsoft, Yahoo, Facebook, Google, senza cui il sistema sarebbe stato impraticabile. Queste sono corse ai ripari, assumendo norme più severe e trasparenti sulla trasmissione dei dati.
Di fatto, internet è diventato uno strapotere mediatico e comunicativo, sfuggito di mano con pericolose devianze e insidie per i suoi utilizzatori, una finestra sul mondo che spesso apre una finestra sulla nostra privacy. Sconcertante che questo avvenga non solo da parte di hacker, ma dalle stesse istituzioni che dovrebbero tutelarci. Sono in commercio software anti intercettazione, utilizzabili su computer e cellulari, basati su una tecnologia di cifratura dei dati, che rendono la navigazione sul web anonima e sono condivisibili con altri sistemi che usano la stessa procedura.
Ma la domanda di fondo resta: perché dovremmo difenderci individualmente da un abuso, da cui dovremmo essere difesi dalla legge?